STIPENDIO BADANTE IN NERO
La malriposta convinzione di furbizia che spesso anima chi usufruisce di prestazioni di lavoro “in nero”, è destinata a tradursi, nella maggior parte dei casi, in una bruciante delusione. Le conseguenze negative previste dalla legge in caso di emersione del rapporto, infatti, superano ampiamente i benefici, proprio perché volte a neutralizzare del tutto il vantaggio ipotizzato.
In primo luogo, con specifico riferimento alla professione di badante, bisogna tenere a mente che la legge prevede la loro regolarizzazione: se il datore di lavoro omette o ritarda la comunicazione obbligatoria all’Inps, può essere condannato al pagamento di sanzione amministrativa alla Direzione Provinciale del Lavoro, in misura compresa tra 200 e 500 euro. Per di più, in caso di mancata iscrizione del lavoratore domestico all’INPS, la Direzione Provinciale del Lavoro può applicare una sanzione da 1.500 euro a 12.000 euro per ciascun lavoratore “in nero”, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo, cumulabile con le altre sanzioni amministrative e civili previste contro il lavoro nero.
SANZIONI AMMINISTRATIVE
Poco importa se la lavoratrice è pagata secondo prezzi congrui rispetto al mercato del lavoro: sul datore di lavoro, infatti, gravano comunque molteplici obblighi (e relative sanzioni) di natura civile ed amministrativa.
Oltre quanto anticipato, sono previste numerose “reazioni” collegate a violazioni del trattamento economico complessivamente inteso.
Anzitutto, è bene tenere a mente che per i rapporti di lavoro domestico non è imposto il versamento della retribuzione su conto corrente, essendo dunque autorizzato il pagamento della prestazione in contanti; ciò nonostante, è consigliabile porsi in condizione di poterne offrire prova: in mancanza, la lavoratrice risulterebbe astrattamente legittimata a proporre domanda giudiziale per ottenere quanto già effettivamente versatole, nella misura individuata dal contratto collettivo nazionale.
Peraltro, non sarebbe nemmeno possibile “aggrapparsi” all’istituto della prescrizione, che in questo caso decorre dalla risoluzione del rapporto di lavoro. Ne consegue, pertanto, la possibilità di agire per il riconoscimento di arretrati anche molto risalenti nel tempo, ben oltre i cinque anni normalmente previsti per i crediti. È dunque suggerito farsi rilasciare, volta per volta, apposita quietanza, oppure procedere al pagamento con mezzi tracciabili. Non bisogna trascurare, poi, che la retribuzione minima deve sempre essere commisurata a quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale: poco importa se il corrispettivo è inferiore in forza di esplicita previsione delle parti, perché il giudice eventualmente adito certamente condannerebbe a versare la differenza.
Alla professione di badante, poi, si applica la normativa generalmente prevista per qualsiasi rapporto di lavoro dipendente in tema di TFR: l’emolumento, a prescindere dalla natura “trasparente” o meno del rapporto, deve essere versato sia in caso di licenziamento che in caso di dimissioni, essendo anche in questo caso riconosciuto il potere di attivazione giudiziale della pretesa.
Analogamente, essendo il rapporto in esame considerato come rapporto di lavoro dipendente, devono comunque essere pagate le ferie, godute e non, insieme ai permessi.
Aspetto particolarmente gravoso è quello legato ai contributi previdenziali, che debbono essere pagati per intero, a pena di elevate sanzioni amministrative. Per legge, il versamento tardivo dei contributi comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie al tasso vigente alla data di pagamento o di calcolo, per un massimo del 40% sull’importo dovuto nel trimestre o sulla cifra residua da pagare. Questo tasso di interesse si applica a condizione che il datore di lavoro effettui spontaneamente il versamento entro i 12 mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi, prima di contestazioni o richieste da parte di Inps, Inail e Ispettorato del lavoro. Se il termine di 12 mesi non viene rispettato si ricade nell’evasione contributiva, sanzionata con un’aliquota del 30% su base annua sull’importo evaso nel trimestre.
Il mancato versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali operate sugli stipendi dei propri dipendenti, inoltre, integra una fattispecie di reato, punita con una sanzione massima che prevede la reclusione fino a 3 anni e con la multa fino a 1.032,00 euro. Ulteriore aspetto di particolare delicatezza, collegato a quanto appena indicato, riguarda le ipotesi di infortunio sul lavoro. Se la badante è regolarmente iscritta all’Inps il problema non si pone, perché la collaboratrice è a tutti gli effetti beneficiaria di copertura assicurativa per il caso di infortunio e malattia professionale: in altre parole, è l’Inps stesso a provvedere, mediante il versamento all’Inail di una quota del versamento trimestrale operato dal datore di lavoro.
Il quadro è ben diverso, invece, se il rapporto di lavoro non è stato dichiarato. In questo caso, il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere in sede civile (risarcimento del danno) ma altresì in sede penale (lesioni).